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Sergio Buso: l'addio ad un anti-personaggio

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Forse non è un caso che se ne sia andato nella notte di Natale, in silenzio e senza disturbare la stampa che si godeva qualche ora di riposo. Così come non è un caso che se ne sia andato nel bel mezzo dell’ennesimo scandalo del calcio italiano, lui lontano anni luce dal brutto del pallone. ...

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Forse non è un caso che se ne sia andato nella notte di Natale, in silenzio e senza disturbare la stampa che si godeva qualche ora di riposo. Così come non è un caso che se ne sia andato nel bel mezzo dell’ennesimo scandalo del calcio italiano, lui lontano anni luce dal brutto del pallone. La scomparsa di Sergio Buso, all’età di 61 anni, ha scosso il mondo del calcio italiano perché, anche se può sembrare retorica dirlo, la sua era una delle figure da prendere come modello, soprattutto in un momento come questo, per il modo in cui Buso si era avvicinato alla professione. Prima come portiere di buon livello poi come studioso di calcio a 360°: allenatore, vice-allenatore, preparatore dei portieri, osservatore anche per la Nazionale ma anche grande appassionato e conoscitore di tattica. Aveva pochi ma fidati amici nel mondo del calcio: da Renzo Ulivieri a Walter Mazzarri, che da Buso fu introdotto al mestiere di allenatore nelle giovanili del Bologna, il suo club del cuore (con cui vinse una Coppa Italia nel ’74), fino a Roberto Donadoni.

Con l’ex ala del Milan il rapporto era nato da poco ma aveva saputo trasformarsi da subito in una vera amicizia: inevitabile visto che il carattere di Donadoni rispecchia in più punti quello di Buso. Mai sopra le righe, rispettosi degli altri anche a costo di essere pugnalati a tradimento, sempre lontani dal clamore. Prima vice allenatore in Nazionale all’Europeo 2008 ed anche preparatore dei portieri poi insieme anche nella sfortunata esperienza di Napoli e, seppur da lontano, anche a Cagliari. Quando infatti Donadoni iniziò la breve avventura in rossoblù Buso aveva già cominciato ad accusare i primi sintomi della leucemia che lo ha consumato in poco più di un anno: eppure, fino alla scorsa estate, aveva svolto fino in fondo il suo mestiere di osservatore, segnalando al suo “principale” talenti utili per il Cagliari. Cellino ha poi interrotto bruscamente il tutto: a quel punto per Buso c’è stato solo il tempo di capire che la sua battaglia era agli sgoccioli ed oggi, nella chiesa di Sant’Egidio a Taranto, che era diventata la sua città di adozione (qui è nata sua moglie), sono stati in tanti a salutarlo per l’ultima volta.

Ed anche da questo particolare si capisce che Buso non è stato un uomo qualunque: lui, padovano schivo ed introverso, aveva saputo farsi apprezzare anche nel profondo sud, per le belle stagioni vissute tra i pali tra il 1978 e l’80, in anni drammatici fuori e dentro il campo per il calcio tarantino (tragedia Iacovone, calcioscommesse) ma anche per la storica promozione in C1 attesa dodici anni conquistata con i rossoblù da allenatore nel 2001. Fu, quella, una delle poche soddisfazioni di una carriera da allenatore non certo esaltante, cominciata venticinque anni fa a Lucca, dove l’anno prima aveva appeso i guanti al chiodo, e vissuta tra pochi alti e tanti bassi, come l’esonero a Bologna nel 1999 dopo cinque giornate, quando Gazzoni gli affidò a sorpresa la conduzione della squadra dopo la trionfale era Mazzone, e come l’interregno a Firenze nel 2005 quando, nel post-Mondonico, fu sostituito da Dino Zoff dopo quattro sconfitte consecutive. Gazzoni non gli fece certo un bel servizio mandandolo allo sbaraglio per poi dargli il ben servito ma all’ex presidente del Bologna si deve il soprannome che ha reso celebre Buso, già noto come Buster Keaton per la somiglianza con il grande mimo: “Treccani del Calcio”. E di sicuro un posto nell’enciclopedia del pallone per Sergio Buso ci sarà sempre.